La piramide alimentare

Immagine decorativa dieta mediterranea
La piramide mediterranea è un modello usato, dunque, per descrivere il regime alimentare di molte popolazioni dell’area geografica che gravita attorno al Mediterraneo. Fu formalizzata per la prima volta nel 1994 a opera di tre importanti organismi dedicati allo studio dell’alimentazione: la Oldways Preservation and Exchange Trust, la Harvard Scool of Public Health e la World Health Organization. Essa si basa su uno studio scientifico riguardante le popolazioni di sette paesi: Stati Uniti, Italia, Finlandia, Grecia, Yugoslavia, Paesi Bassi e Giappone. Lo studio documentato nella letteratura scientifica dal suo principale coordinatore, proprio Ancel Keys, va sotto il nome di Seven Countries Study*. Tra le altre cose prende in esame le abitudini alimentari di migliaia di abitanti, di media età, scelti in modo causale, dei sette Paesi in questione. I ricercatori hanno analizzato l’incidenza delle morti per malattie coronariche nelle popolazioni, cercando di identificare le ragioni della bassa incidenza di tali patologie nelle popolazioni dell’area mediterranea (Grecia e Italia in particolare). I risultati, così differenti,sono dovuti all’enorme importanza attribuita nell’alimentazione mediterranea a frutta e verdura, cereali, legumi e pesce e alla limitazione delle carni, dei latticini e in genere dei grassi saturi. Questi ultimi alimenti, fortemente limitati nella dieta mediterranea, risultano invece centrali nell’alimentazione degli Stati Uniti e in Finlandia, paesi dal più elevato indice di mortalità per malattie cardiache.

 

* Nel 1947, Ancel Keys iniziò uno studio nel Minnesota su duecentotrentotto uomini d’affari. Dopo aver studiato per diversi anni le loro abitudini alimentari, comprese il ruolo dei grassi saturi nell’insorgenza dell’ipercolesterolemia. Nel 1951 venne per la prima volta in Italia per partecipare alla prima conferenza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) a Roma. Quando si informò sul rapporto fra l’alimentazione e cardiopatie coronariche, venne a conoscenza dal Prof. Gino Bergami, docente all’Università di Napoli, che nella città le malattie cardiache non costituivano un problema di salute. Per verificare le affermazioni del professor Bergami, Keys tornò in Italia e si propose una indagine sui consumi alimentari che fornisse dati comparativi a quelli da lui raccolti negli Stati Uniti in relazione al rischio di malattie dell’apparato cardiocircolatorio. Bastarono pochi mesi per stabilire che il “il regime alimentare a Napoli era povero di grassi e che soltanto le persone ricche subivano attacchi cardiaci“. Nella città partenopea venne a contatto con le abitudini alimentari partenopee e scoprì le trattorie, un tipo di alimentazione che non conosceva: ” Pasta variamente condita, insalate con una spruzzata di olio d’oliva, tutti i tipi di verdura di stagione e spesso formaggio, il tutto completato da frutta e in molti casi accompagnato da un bicchiere di vino.” Appurò che a Napoli gli infarti erano effettivamente rari, “fatta eccezione per la ristretta cerchia delle classi più ricche, la cui alimentazione era diversa rispetto a quella del resto della popolazione: mangiavano carne ogni giorno anziché ogni una o due settimane”. Alcuni anni dopo si recò a Creta e constatò anche nell’isola l’assenza quasi totale di malattie coronariche, nonostante il regime alimentare medio derivasse quasi il 40% delle calorie dai grassi. Partì da queste considerazioni il famoso Seven Countries Study, uno studio comparativo dei regimi alimentari di 14 campioni di soggetti, di età compresa tra 40 e 59 anni, per un totale di 12.000 casi