Massimo Cresta

Docente di Ecologia Umana presso l’Università “La Sapienza” di Roma

Le indagini sugli stili alimentari di Rofrano

Antropologo, nel 1954 effettua una serie di rilevazioni alimentari nel Comune di Rofrano; poi le ripeterà nel 1980 per controllare gli sviluppi dei modelli alimentari.

Nel 1954 la situazione alimentare fu studiata su 226 famiglie delle 601 che a quell’epoca erano presenti nel comune di Rofrano. Una classificazione preliminare delle famiglie secondo criteri generali delle condizioni di vita aveva permesso di stabilire che il 38% delle famiglie totali si potevano classificare in condizione socio-economica “cattiva”, il 40% in condizioni “discrete” ed il 22% in condizioni “buone”, precisando però che “anche le famiglie che rientravano in quest’ultima qualifica avevano un reddito complessivo appena sufficiente a soddisfare i bisogni fondamentali in quanto in realtà poche di esse (appena 5 o 6) avevano entrate piuttosto notevoli”. Le famiglie da sottoporre all’inchiesta furono quindi campionate in modo rappresentativo rispetto a tale distribuzione per caratteristiche socio-economiche che furono definite: C = cattive, D = discrete, B = buone.Per tutte e tre le condizioni socio-economiche delle famiglie, l’alimentazione si caratterizzava per consumi elevatissimi di cereali: 492 g giornalieri per individuo nelle famiglie C, 524 g nelle famiglie D e 538 g in quelle B. Nel gruppo dei cereali predominava il pane, preparato quasi sempre dalle famiglie stesse, spesso con aggiunta di farina di mais a quella di frumento prodotta dalle famiglie e utilizzata con alti livelli di abburattamento (85-90%). Il consumo di pasta oscillava tra 115 e 134 giornalieri. Il consumo di ortaggi e frutta si situava tra 334 e 427 g giorna­lieri (334 g nelle famiglie C, 427 in quelle D e 404 in quelle B). Per altro il consumo preminente era quello degli ortaggi “usati il più delle volte crudi e quasi sempre raccolti estemporaneamente negli orti circostanti”. Il consumo di frutta era infatti bassissimo e limitato al periodo estivo-autunnale. Abbastanza scarso era anche il consumo di legumi secch­i: 15 g giornalieri a persona nelle famiglie C, 21 g nelle famiglie D e 19 g nelle famiglie B. Di fronte ad una razione di prodotti vegetali che oscillava intorno a 1.000 g giornalieri a persona, irrisori erano i consumi di prodotti di origine animale; ed anche se le famiglie B consumavano carne, pesce, the, uova e formaggi in quantità doppia delle famiglie C, tale quantità era pur sempre estremamente bassa: 46 g giornalieri di carne o pesce, 11 g di uova, 57 g di latte e 18 g di formaggi. Nelle famiglie C perciò prodotti di origine animale erano poco meno di un lusso e in alcuni casi, come il latte, l’alimento dei malati. Il consumo medio giornaliero si situava infatti a 23 g di carne o pesce, 5 g di uova, 22 g di latte e di formaggio; ciò che in altri termini significava: una razione media di carne o di pesce alla settimana, un uovo e una razione di latte ogni 10 giorni, una “spolverata” di formaggio sulla pasta asciutta. Il consumo di zucchero si situava a pochi grammi giornalieri, 4 e 6 in quanto considerato una “leccornia” qualora si consideri che anche il latte era spesso “dolcificato” con il sale!

Prendendo sia per il 1954 che per il 1980 come quantità di rife­rimento quelle proposte per la popolazione Indiana (Larn, 1980) risulta che:

–         le proteine: il 23,7% delle famiglie si po­neva nel 1954 a livelli di copertura delle quantità raccomandate che erano inferiori al 90%. Nel 1980 questa percentuale si e ridotta al 3,6%;

 

–         il calcio: nel 1954 il 94,3% delle famiglie si poneva a livelli di copertura della quantità raccomandate inferiori al 90% e il 29,6% a livelli inferiori al 50%. Nel 1980 il 27,6% delle famiglie si pone a livelli inferiori al 90% e solamente il 3% a livelli inferiori al 50%;

 

–         la riboflavina: il 92,1% delle famiglie non superava nel 1954 il 90% di copertura delle raccomandazioni e il 29,2% si poneva a livelli inferiori al 50%. Nel 1980, le famiglie che si pon­gono a livelli di copertura inferiori al 90% sono 36,5% e quelle che si pongono a livelli inferiori al 50% sono solamente lo 0,6%.

Tuttavia, di fronte a queste situazioni in cui gli apporti nel 1980 risultano superiori a quelli del 1954, si sono verificate altre situazioni in cui gli apporti nel 1980 risultano inferiori al 1954. E’il caso, in par­ticolare, del ferro e della tiamina Nel 1954, solamente il 6,1% delle fa­miglie aveva apporti in ferro che si ponevano a livelli inferiori a1 90% delle quantità raccomandate, nel 1980, tale percentuale è salita al 38,1%.

Per quanta riguarda la tiamina le differenze soma ancora più sen­sibili. Nel 1954 nessuna famiglia si poneva al disotto del 90% di co­pertura delle raccomandazioni, nel 1980 il 32,9% delle famiglie si pone a livelli tra il 70 a il 90% di tali quantità e vi è anche un 10% delle famiglie i cui apporti in tiamina sono inferiori al 70% delle quantità raccomandate.

Queste modifiche sono il risultato di cambiamenti qualitativi e quantitativi intervenuti nella struttura del regime alimentare della popolazione. Rispetto al 1954 il consumo medio di pane è passato dal 396 g giornalieri a persona a 258 g; la pasta da 120 a 100.

Estremamente ridotto è l’uso di farine ad alto tasso di abburattamento e completamente scomparso è il mais che nel 1954 entrava ancora per molte famiglie nella preparazione casalinga del pane. Ma accanto alla diminuzione nel consumo dei cereali, ed in minor misura dei legumi secchi (da 19 g a 15 g a persona), si sono però registrati aumenti a volte molto consistenti per altri alimenti.

Il consumo di carne è aumentato di circa 5 volte (da 29 g a 130 g), il consumo di latte è aumentato di 3 volte (da 33 g a 109 g), il consumo delle uova è più che raddoppiato (da 7 a 17 g), quello dei formaggi si è triplicato (da 13 g a 40 g), il consumo di zucchero è aumentato di oltre 3 volte (da 6 g a 20 g), quello del vino si è più che quadruplicato (da 55 g a 237 g).

Sul progetto di ripresa delle indagini proposto dal prof. Cresta al Sindaco di Rofrano in data 28.11.1994, il Consiglio Comunale, con delibera n. 7 del 4.1.1995, manifesta piena disponibilità approvandone i contenuti e dando il via alle indagini. Obiettivi specifici della nuova ricerca: analizzare le tendenze temporali dei consumi alimentari in relazione all’ambiente economico e sociale; valutare i fattori economici, sociali e antropologici che determinano i cambiamenti del modello alimentare; valutare sul piano biologico le modificazioni che sono intervenute nella popolazione dal 1954; studiare le associazioni tra modificazioni biologiche e quelle del modello alimentare e gli stili di vita; realizzare una documentazione scientifica cinematografica dei risultati ottenuti.

 dati a confronto 1954-1998

Alimenti (grammo-persona-giorno) 1954 1998 Alimenti (grammo-persona-giorno) 1954 1998
cereali 516 284 legumi secchi 19 12
ortaggi 209 299 Patate 106 45
frutta 67 181 Carne 20 106
pesce 9 32 Latte 33 22
formaggio 13 52 Uova 7 13

Con il patrocinio del Parco Nazionale del Cilento, nuove indagini e altri studi territorialmente più ampi saranno compiuti nel 1999, sempre sotto la supervisione di M. Cresta e a cura dell’Università “La Sapienza”.

Obiettivi:

–      approfondire le conoscenze sulle relazioni tra biologia e cultura in campo alimentare, anche sulla base delle considerazioni antropologiche culturali che sono emerse nel corso dei vari studi compiuti nel Cilento negli ultimi 50 anni;

–    descrivere le abitudini alimentari della popolazione in relazione allo stato di salute e alle condizioni di stress conseguenti al diverso stile di vita;

–     descrivere le origini e la storia di tali abitudini ricostruendo una identità culturale per quello che riguarda le scelte alimentari;

–    individuare le aree commerciali di circolazione degli alimenti tradizionali prodotti nel Parco e studiare piani di razionalizzazione della produzione di questi alimenti e dei loro flussi commerciali in modo da renderli economicamente competitivi e disponibili per la popolazione;

–     stimolare in questo modo le realtà impreditoriali già esistenti ed eventualmente crearne altre nuove per promuovere lo sviluppo di piccole imprese di produzione di alimenti tipici del Cilento da destinare al mercato regionale e nazionale.

“Sono stati considerati 30 comuni di cui almeno il 50% della superficie rientrava nell’area del Parco. Sono state esaminate, nell’arco di 12 mesi (giugno 1998 – maggio 1999), 288 famiglie scelte a caso nelle liste anagrafiche di ciascun Comune. Su ciascuna famiglia è stata svolta un’indagine per pesata per 4 giorni consecutivi sugli alimenti che andavano al consumo indicando la loro provenienza (acquisto o produzione familiare) e il costo, e, con una indagine retrospettiva con questionario, le spese delle famiglie durante 12 mesi. Alcuni confronti sono presentati con un analogo studio svolto nel 1954 e nel 1980 in un comune collinare del Parco (Rofrano).

I risultati metteranno in evidenza le importanti variazioni del modello alimentare che si erano verificate in questo periodo e le conseguenze che si erano avute sugli apporti di proteine e di lipidi. I cereali che rappresentavano oltre il 60% dell’energia totale negli anni ‘50 sono adesso scesi al 40%. I prodotti di origine animale che nel 1954 rappresentavano il 5,5% dell’energia, erano diventati il 18% nel 1980 nella stessa località per attestarsi oggi al 22,1% a livello del Parco. E’ interessante rilevare che l’apporto energetico totale non si modifica sostanzialmente (circa 2200 kcal, 9,2 Mi), mentre aumenta fortemente la quota lipidica totale che oggi raggiunge il 35 % dell’energia totale. L’eventuale presenza di un modello alimentare tradizionale con quello innovativo è stato esaminato mettendo a confronto con un’analisi per componenti principali (ACP) il regime alimentare di famiglie composte solamente da persone di età superiore a 60 anni (prima generazione) con quello di famiglie i cui componenti avevano meno di 40 anni (seconda generazione). Il modello alimentare della prima generazione privilegia il pescato alla carne e ripropone la centralità dei cereali e degli ortaggi, patate e frutta. La quota lipidica è perciò contenuta (31% dell’energia totale rispetto al 37% per la seconda generazione); e quello che deve essere maggiormente sottolineato è il forte apporto di betacarotene che la prima generazione riesce ad ottenere con il maggiore consumo di ortaggi”.